Laura Voltolina, ritratto by Riccardo Ciriello |
Sbarchi dall’altra parte del mondo, India del Sud; in solitaria, e in India non c’eri mai stata.
La prima volta che hai visto quel gesto, quel movimento lì, eri ancora in aeroporto.
L’avevi capito dall’incipit che sarebbe stato un viaggio interessante: hai subito sbagliato coda all’immigrazione e, anziché con gli stranieri, ti sei accorta troppo tardi di essere in quella dedicata agli indiani, perciò hai trascorso tutta l’ora buona che c’è voluta per arrivare a mostrare il tuo visto nuovo di zecca sperando che al desk non decidessero di mandarti a rifare la coda dalla parte corretta.
Al tuo turno l’addetto ti guarda, ondeggiando la testa a destra e sinistra.
Pensi caspita, nemmeno il tempo di sbarcare e già sono nei guai, perché ti è immediatamente chiaro che, qualsiasi cosa significhi, quel gesto lì, non promette niente di buono; invece lui ti ha piazzato il timbro sul passaporto e via, sei uscita.
Hai pensato che l’addetto avesse il Parkinson.
Quando hai visto che anche l’usciere della guest house, la cameriera del ristorante e l’omino che vendeva banane al chiosco ambulante oscillavano la testa, hai sospettato che potesse essere qualcosa di diverso da un’epidemia di Parkinson.
È un modo di assentire, ringraziare, riconoscere che sei lì, presente, stare nel ritmo delle parole che si dicono e che si ascoltano.
È una comunicazione gestuale.
Che poi sono italiana e proprio noi italiani, con la gestualità, abbiamo un rapporto che definirei privilegiato.
Non solo movimenti della testa, ma delle mani, le mani soprattutto: sono la nostra specialità.
Gesticolare fa parte integrante nostro modo di sentire, e di comunicare
Proprio come in India.
Proprio come nell’arte.
Una delle raffigurazioni pittoriche super antiche che preferisco si trova in una grotta in Argentina e risale a una cifra di anni fa – e mai ‘cifra’ è stato più adatto. Indovinate cos’hanno rappresentato, quegli autori paleolitici?
Esatto, mani.
Una foresta di mani, oltretutto, che toglie il fiato da quant’è bella.
Cuevas de las manos – Argentina |
Nei dipinti, negli affreschi, nelle icone a tema religioso, nei mosaici, nelle sculture, insomma in qualsiasi raffigurazione soprattutto a tema religioso, la rappresentazione delle mani ha un significato preciso: le mani sanno tutto, insomma.
In India queste posizioni delle mani, delle dita, dei piedi, degli occhi, della testa, della lingua, si chiamano Mudra, che significa “sigillo” o “gesto simbolico”.
Sono fondamentali nella danza classica (bharatanatyam, kathakali), nel teatro, nella raffigurazione delle divinità rappresentate nei templi, che siano induisti o buddisti.
Anche nello Yoga ci sono i Mudra.
Avete presente quelle immagini che ritraggono solitamente una fanciulla, seduta a gambe incrociate con i pollici e gli indici delle mani che toccano formando due piccoli cerchi? Foto così vengono utilizzate per venderci di tutto, dallo yogurt a un viaggio in Sicilia.
Ecco ad esempio quel gesto lì delle mani, quello è un Mudra; nello specifico si tratta del sigillo detto della consapevolezza (cit) o della conoscenza (jnana).
Nello Yoga, i Mudra sono potenziati: alla forza del messaggio simbolico, si unisce l’energia derivante dalla chiusura dei ‘circuiti elettrici’ dei canali energetici.
Sono uno strumento formidabile per la meditazione e per la salute.
Pronti a sperimentare?
Qui tratteremo degli Hasta Mudra, che sono i Mudra delle Mani.
Prima di iniziare
Un aspetto veramente importante nei Mudra delle mani, spessissimo trascurato, è che ciascuno trovi la propria ‘qualità di pressione’, perché se premiamo troppo le dita tra loro percepiamo la forza brutalmente muscolare, e ci perdiamo la sensazione sottile della chiusura dei circuiti energetici; va da sé che se la pressione è troppo labile, ci perdiamo ugualmente le percezioni sottili.
L’invito, in questa pratica potente e così semplice da poter apparire banale, è sempre di trovare il proprio, personale, ‘tocco’.
Un altro elemento fondamentale, lo esplicito anche se ovvio, è che quasi tutti i Mudra delle mani si praticano seduti, o in piedi: trattandosi di ‘ascolto sottile’ è necessario che la posizione, seduti a terra, su un cuscino, su una sedia, in piedi…qualsiasi essa sia, sia ‘felice’, ci faccia sentire bene: perché che razza di ascolto profondo può esserci se stiamo soffrendo per dolori atroci alle articolazioni, al dorso, e ci sentiamo infelici?
Quindi: postura felice e…via!
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